Dopo la storia di Sally, la tartaruga marina che potrebbe nuotare di nuovo grazie ad una protesi stampata in 3D per la sua pinna, oggi torniamo a parlarvi delle strabilianti meraviglie che la fabbricazione digitale compie nell’ambito animale. Questa volta, però, vi raccontiamo di un successo tutto italiano.

Proviene direttamente dal Salento, infatti, il secondo carapace (guscio) al mondo stampato in 3D, che ha ridato vita a una tartaruga vittima di un violento “incidente domestico”. L’animale era stato investito dai proprietari, con la conseguente perdita, pressoché totale, del carapace.

L’episodio, tristemente comune per le tartarughe domestiche, aveva comportato, oltre alla perdita del guscio, la parziale frattura del fegato, il collasso di un polmone e la completa lacerazione del peritoneo.  A causa dell’incidente, inoltre, la tartaruga aveva perso moto sangue: un intervento “classico”, basato sulla ricostruzione del carapace utilizzando fibra di vetro e resine epossidiche, non sarebbe stato praticabile, perché avrebbe richiesto tempi chirurgici molto lunghi, che l’animale non era in condizioni di sopportare.

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«Spesso, in casi simili, l’eutanasia era l’unica strada percorribile, ma da tempo progettavo di sperimentare le tecniche di stampa 3D per creare protesi per animali, che necessitano di interventi chirurgici  molto meno invasivi rispetto ai metodi classici», spiega il dottor Davide De Guz, che ha eseguito l’operazione. Il veterinario, infatti, basandosi sulla TAC (tomografia assiale computerizzata) di un’altra testuggine, diversa per sesso e tipologia, ha tentato di ricostruire un profilo, il più fedele possibile all’originale, delle parti del carapace distrutte.

La ricostruzione del “guscio” ha richiesto 11 ore di stampa e l’utilizzo di acido poliglicolico, a fronte di pochi minuti e dell’utilizzo di un blando sedativo per l’applicazione sulla testuggine: dopo quello di Freddy, la tartaruga brailiana che, in seguito ad un incendio, aveva perso il suo carapace, questo è il secondo caso al mondo di ricostruzione del carapace mediante la stampa 3D, e ne siamo davvero orgogliosi.

«Pubblicherò questo caso su una rivista scientifica – rende noto De Guz – perché questa soluzione rappresenta un punto di svolta importante per la ricostruzione del carapace. Grazie a questo intervento, la nostra piccola amica leccese è ancora in prognosi riservata, ma riesce a mangiare e bere da sola ed è tornata alla sua vita normale. Superati i 60 giorni si potrà capire l’esito. I segnali, al momento, fanno ben sperare».

Fonte: quotidianodipuglia.it

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By Categories: NotiziePublished On: 17 Luglio, 2017

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