Lo smaltimento dell’olio esausto è un problema su scala mondiale: provvedere alla sua eliminazione attraverso i tubi di scarico può provocare gravi danni ambientali. Riutilizzarlo, inoltre, in cucina non è certamente salutare. Ad oggi, in realtà, non esistono ancora modalità efficaci di riutilizzo e riciclo dell’olio esausto anche se il professor Andre Simpson ha trovato un metodo davvero innovativo e rispettoso dell’ambiente. 

Ma partiamo dal principio.

Fonte https://www.chemistry.utoronto.ca/people/directories/all-faculty/andre-simpson

Andre Simpson è professore al Scarborough Campus (UTSC) University of Toronto nonché direttore dell’ Environmental NMR Center, che si occupa di ricerche ambientali. Punto focale della sua attività è l’utilizzo dello spettrometro NMR (Nuclear Magnetic Resonance), il cui funzionamento è simile a quello di una risonanza magnetica, utilizzato per osservare minuscoli organismi viventi e per comprendere in che modo i cambiamenti ambientali influiscono sulle loro reazioni biochimiche. Nel 2017, per poter proseguire la sua attività di ricerca e cercare di ricreare parti di questi organismi viventi, per tenerli in vita, decide di provvedere all’acquisto di una stampante 3D, ma ben presto appura di non poter più sostenere l’acquisto della resina, indispensabile per la realizzazione delle micro-parti, in quanto un solo litro arriva a costare 500 dollari!

Effettuando varie analisi sulla resina, al fine di poter trovare un valido sostituto, ha capito che le molecole facenti parte della resina sono molto simili a quelle presenti nei grassi degli oli da cucina. Da qui, l’idea! Grazie ad una collaborazione con McDonald’s, che ha fornito grandi quantitativi di olio esausto, e grazie ad un processo di sintetizzazione molto semplificato, è riuscito a produrre resina biodegradabile da utilizzare per la stampa 3D.

Dopo una serie di test, durati circa un anno, nel 2018 il professor Simpson ha stampato una farfalla in 3D con una risoluzione di 100 micron (0,1 mm). Con un fotoiniziatore e senza alcun fotoinibitore, il prototipo può essere stampato con una normalissima stampante 3D. Le stampe, inoltre, presentano una notevole stabilità termomeccanica, una omogeneità morfologica e un’alta biodegradabilità: fattori non presenti se si utilizzano resine commerciali.

Il progetto di ricerca del professor Simpson è ancora in corso ma sono già visibili alcuni vantaggi derivanti dall’utilizzo di tal tipo di resina: la riduzione dei rifiuti, la diminuzione delle emissioni di CO2, l’impatto ambientale positivo e la sensibile diminuzione dei costi di acquisto ( soli 30 centesimi al litro!)

 

Fonti

Macynet.it

Businessinsideir.com

Hwupgrade.it

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By Categories: NotiziePublished On: 2 Aprile, 2020

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